San Vitale


Viene costruita da Giuliano Argentario, un personaggio citato dalle fonti, probabilmente governatore della città, promotore su mandato di Giustiniano della costruzione insieme al vescovo di allora; iniziata nel 525, quando ancora era vivente Teodorico, la chiesa viene completata nel 547, quando ormai Ravenna si trova sotto il dominio bizantino da almeno sette anni. L’immagine di questa pianta evoca immediatamente le chiese costantipolitane, in particolare San Sergio e Bacco, per la forma planimetrica ottagonale; era interesse da parte della corte bizantina di Giustiniano introdurre la cultura orientale in occidente. L’aspetto importante di questo edificio è quello che pur partendo da premesse giustinianee, in realtà modifica gli elementi formali realizzando un sistema spaziale più vicino alle chiese occidentali, sopratutto San Lorenzo a Milano; che pur facendo riferimento a temi orientali, li nega utilizzando materiali possenti come le strutture murarie, a differenza dell’oriente che lega gli ambienti attraverso effetti cromatici. Come abbiamo detto quello orientale è volto a creare un’architettura illusoria e per la stesura dei materiali favorisce la fluidità di un’ambiente dentro l’altro (poiché gli spigoli non sono perfettamente marcati ma scivolano l’uno dentro l’altro), creando una mobilità che impedisce di leggere la struttura.
In San Lorenzo pur essendo complessa per via della sovrapposizione delle arcate (sia al piano terra che al piano superiore) si mantiene chiarissima il funzionamento della struttura, questo in virtù del fatto che il materiale utilizzato è lasciato libero da ogni sovrapposizione decorativa. Lo stesso avviene a San Vitale, la quale più che essere legata al modello orientale si avvicina maggiormente a quello occidentale rappresentato da San Lorenzo. La chiesa pur avendo un modulo orientale traduce il disegno della pianta in alzato con una spazialità occidentale, questo per indicare che non bisogna giudicare un’edificio dalla pianta.
Attualmente vediamo la chiesa con alcune modifiche, superato l’atrio si arriva all’ingresso e si trova di fronte ad una parete continua, questo perché l’ottagono che forma il perimetro della chiesa non poggia uno dei sui lati alla parete dell’ingresso ma con uno degli spigoli, creando dei triangoli laterali che si presentano articolato nella copertura a fiancate da due torri. L’atrio che abbiamo attraversato è un classico nartece a forcipe (come quello della basilica di Massenzio), la particolare forma determina il fatto che non può esistere un rapporto diretto con l’altare (cosa che avveniva nelle altre chiese dello stesso periodo), infatti il visitatore deve procedere prima attraversando la porta nello spazio triangolare, da cui gode di una visione che non è ancora diretta verso l’altare in quanto viene colpito da un ventaglio di prospettive molto variegato che gli si presentano dinnanzi; ha per questo un’impressione di disorientamento (sopratutto dal punto di vista costruttivo), comincia ad avere una percezione più chiara quando giunge in corrispondenza dell’esedra, dove ha una visione assiale dell’edificio. Quindi quello che prima era un movimento immediato e cinetico, viene invece rallentato attraverso  questi percorsi che trasformano la percezione dello spazio da unitario (che segue un’unica direzione), in un’immagine di spazi dinamici. Spazi dinamici che aumentano il peso della struttura, che diventa ancora maggiore quando il visitatore si dirige verso l’altare, perché quando si trova al centro viene risucchiato verso l’alto dalla notevole altezza e il suo sguardo si volge tutto intorno ed è attratto dalle arcate del piano terra e del piano superiore, ancora una sensazione di smarrimento che non gli consente di avere chiara tutta la struttura ed è colpito dal fatto che non vede dal basso con tutta chiarezza il sistema strutturale dal piano superiore. Il visitatore ha bisogno di un momento di riflessione, dopo inizia a ragionare e vedendo la struttura nella sua logica lineare ne immagina la prosecuzione ed riesce a ricreare la logica strutturale dell’edificio; fenomeno che non avviene nelle chiese orientali (poiché gli spigoli nelle chiese bizantine non esistono, i colori tendono a favorire una visione continua, appiattendo tutte le forme). Questo è un momento decisivo che si verifica sia in oriente che in occidente, le chiese orientali si ispireranno a San Vitale cristallizzando queste forma, le altre continuano un filone autonomo nel senso delle masse.
In sintesi in quest’edificio c’è un tema legato maggiormente all’oriente che è quello di iniziale smarrimento, ma il modo con cui s risolve questo smarrimento è diverso, nel primo caso lo smarrimento rientra nella logica di comprensione dell’intera struttura (ottenuta attraverso l’esaltazione dei singoli volumi, percepiti attraverso la netta distinzione di un’elemento dall’altro), nel caso orientale questo non avviene ed il fedele esce senza avere chiara l’idea della struttura. I mezzi con cui si ottengono queste due soluzioni sono diversi, in particolare l‘utilizzo di superfici scabre nel caso di San Vitale e pareti mosaicate o marmoree del caso orientale (per questo è importantissima la luce). 
Questo edificio ed in particolare la sua definizione spaziale, verra continuato nella chiesa di Aquisgrana di Carlo Magno, che porta a maturazione questo modello cercando però di evidenziare immediatamente la chiarezza della struttura (senza passare per il momento di smarrimento), questo è ottenuto attraverso la costruzione di un’edificio simmetrico, questo è intenzionale perché punto di partenza era quello di creare un’architettura illusionistica. Nell’architettura carolingia questo viene superato, in quanto si vuole chiarezza immediata dello spazio. Vengono creati dei volumi in maniera gerarchica, è una sorta di dosaggio proporzionale che si cerca di stabilire tra le parti che compongono l’architettura.